Il maschilismo che non vediamo: come le donne lo perpetuano senza saperlo

L’8 marzo è la Festa della Donna, un’occasione per celebrare i traguardi raggiunti, ma anche per riflettere su ciò che ancora ci frena. E se vi dicessi che uno degli ostacoli più grandi alla parità di genere è il maschilismo interiorizzato nelle donne? Cresciamo in una società che, fin dall’infanzia, ci trasmette regole implicite su come dobbiamo comportarci, vestirci e relazionarci. Il risultato? Senza rendercene conto, perpetuiamo noi stesse quei modelli che dovremmo combattere. Questo articolo vuole essere una riflessione sincera su come il cambiamento debba partire prima di tutto da noi

La rivelazione di un condizionamento invisibile

fiore di ibisco rosa annatureblog

Non avrei voluto, ma mi sono accorta di esserlo. O forse, me lo sono semplicemente detto senza troppi giri di parole: sei una maschilista.

La rivelazione è arrivata qualche estate fa, quando mia figlia – allora sette anni – indossava una gonnellina a balze. Troppo corta, ho pensato. E subito le ho detto di cambiarsi.
Come l’avrebbero guardata gli adulti al parco? Che madre sarei sembrata agli occhi delle altre mamme benpensanti? Che etichetta le avrebbero appiccicato fin da piccola?
“Cambiati, metti i fuseaux – adesso si chiamano leggings – e una maglietta extra-large che copra bene l’ombelico!”
Lei non ha protestato. La mia scusa? Con la gonna, cadendo, si sarebbe sbucciata le ginocchia.

Le radici profonde del pensiero maschilista

Torniamo indietro di oltre trent’anni.
Asilo gestito dalle suore, poi scuola pubblica, teoricamente laica. Eppure, ogni mattina si dicevano le preghiere e guai a scoprire le braccia, per maschi e femmine. Pantaloni o gonne rigorosamente sotto il ginocchio.
Alle medie, il primo contatto con la sessualità avvenne durante l’ora di “educazione all’affettività“. Chiamarla così faceva, e tutt’ora fa, meno paura.
Internet non c’era, nessuno ti spiegava niente. Scoprivi il tuo corpo e le sue dinamiche da sol* o tramite “i più grandi”, per chi ne conosceva. Io ero completamente ignorante e le uniche nozioni che avevo arrivavano da un giornaletto per ragazze molto in voga all’epoca.

Crescendo, ho maturato l’idea che, se tenevo alla mia reputazione, era meglio indossare sempre i pantaloni. Azzardai una minigonna una volta, ma non avevo il fisico. Qualcuno me lo disse senza mezzi termini: era troppo corta.
Ricordo la vergogna di quel pomeriggio d’autunno. Quella fu l’ultima volta che ne indossai una.

Il controllo sociale sull’abbigliamento femminile

Discoteca, anni 2000. L’outfit prevedeva sempre almeno una parte del corpo coperta: se mettevo la gonna, sopra ci andava una maglietta a collo alto; se portavo i pantaloni, allora potevo osare con un top, ma mai troppo scollato.
Non avrei certo voluto passare per una poco di buono.
E se fosse accaduto qualcosa di brutto? Beh, me la sarei cercata.
Trent’anni dopo, il mio armadio è ancora pieno di gonne lunghe, longuette e pantaloni. Maglie a collo alto, felpe oversize. Perché anche l’attillato può “indurre in pensieri impuri”.

Nel frattempo, sono nati movimenti come il #MeToo, la società si è evoluta—o almeno così dice. Eppure, certe idee, una volta piantate, mettono radici profonde. Lo vediamo ogni giorno.

Donne contro donne: una competizione silenziosa

La sensibilizzazione sul rispetto della donna dovrebbe partire prima di tutto da noi donne. Ma, come ho scritto in questo articolo politicamente scorretto, il maschilismo serpeggia ancora dentro di noi, cresciute in una cultura che lo ha normalizzato. È talmente radicato che, alla fine, spesso le prime nemiche delle donne sono le donne stesse.

Forse è una nostra inclinazione naturale, quella di voler primeggiare. Altro che polli nel pollaio! Siamo bravissime a puntare il dito contro chi esce dagli schemi, a criticare l’assente, salvo poi prenderne il posto in sua assenza.

Gli uomini, almeno fino a un certo status socio-economico, sembrano più corporativi: fanno squadra, si coprono a vicenda. Ai piani alti, certo, si scannano anche loro. Ma tra noi donne la competizione spesso è più sottile, più velenosa, più subdola.

Un 8 marzo fuori dagli schemi: il cambiamento parte da noi

E allora, in questo 8 marzo, io vado controcorrente. Non chiederò rispetto agli uomini, non griderò alla parità dei sessi. Mi fermerò a guardare dentro di me, dentro di noi, per chiederci: quanto di questo maschilismo che combattiamo vive ancora nelle nostre teste?
Perché la strada per la parità non è solo lunga. Forse, è ancora utopica.

Se ti va, lascia la tua opinione nei commenti! Mi piacerebbe sentire il tuo pensiero.


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